TRE CARATTERISTICHE DELLA MISERICORDIA

TRE CARATTERISTICHE DELLA MISERICORDIA

 

Nella fede noi possiamo lasciarci afferrare dalla misericordia di Dio

La parola “misericordia” nella lingua di Gesù (l’aramaico) come nella lingua greca, ha  un’origine religiosa anche molto umana. È legata alla madre (in ebraico: rahamin; in greco: splàncna). Indica il calore affettuoso della mamma che avvolge la propria creaturina, il bimbo che le è legato interamente e ne dipende in tutto più che non il filo d’acqua dalla sorgente, un amore così profondo, materno, delicatissimo, si chiama misericordia.

In italiano e in latino invece, la parola “misericordia” si riferisce al cuore; il centro è il cuore. Misericordia è la miseria dell’altro che riempie il nostro cuore. Misericordioso è quindi colui che ha il cuore aperto all’infelicità e alla miseria degli altri.

Prima caratteristica: l’amore misericordioso si mostra capace di venire intimamente colpito dalla sofferenza degli altri. Nell’anima di chi è misericordioso riecheggiano tutte le grida disperate di aiuto e di implorazione degli altri. Il suo cuore è come la conchiglia che riecheggia lo scroscio e il murmure del mare: fa cassa di risonanza al dolore altrui. È come una cassa armonica in cui tutte le grida di invocazione e di dolore e di disperazione trovano eco doloroso.

Seconda caratteristica: l’amore misericordioso è disposto ad entrare in unità di essere con colui che soffre, a fare tutt’uno con chi soffre, nell’amore, l’altro diventa il mio io. E allora, oltre le mie sofferenze, io devo soffrire la persona amata. Una tale sofferenza, compartecipazione di sofferenza, logora e distrugge. Spesso, anzi, sembra stia peggio colui che ama, che non colui che soffre. Per convincercene, basta guardare una mamma accanto al suo bimbo che sta morendo. La persona che ama, soffre con chiara coscienza ciò che l’altro, reso ormai come insensibile al dolore, subisce passivamente. Certe volte la sofferenza di chi ama è peggiore di chi soffre. Solo più tardi l’altro, scoprirà quanto noi si abbia sofferto per lui e come gli abbia devastato la nostra anima consegnandoci quasi alla morte. Il dolore dell’altro apre tutte le brecce, rompe tutte le dighe del nostro cuore e lo manda a pezzi; è come un fuoco che arde e che crepita intorno al cuore; ci immerge in una orrenda solitudine; rovescia su di noi tutta la sofferenza.

Terza caratteristica: l’amore misericordioso, vuole perseverare tutta la vita nell’essere uno con colui che soffre, in piena fedeltà. Fedeltà misericordiosa vuol dire consolare un sofferente, soffrire con lui, non una volta sola, ma sempre. Quando c’è accanto a me, uno che mi ama, il mio dolore cessa di essere struggente. È sufficiente che colui che ama, guardi colui che soffre, gli prenda la mano, gli resti vicino. Semplicemente così: stargli accanto, essere lì, presente. È tutto. È una presenza che conforta. Ma deve continuare sempre: ora, il continuare sempre consuma e logora il nostro essere. Vivere con uno che soffre è partecipare alla sua lenta dissoluzione per mesi, per anni e sempre donargli nuovamente la propria presenza è l’imperativo più duro della misericordia. Continuare a fare così anche se lo slancio interiore più non ci porta, anche quando siamo immersi, in una estrema stanchezza e disgusto, anche quando nel fondo della nostra anima si condensa la nausea, anche quando la nostra esistenza nel continuo sforzo dell’amore a poco a poco si scolora, anche se il nostro cuore si infiacchisce perché il sofferente non è più capace di corrispondere al nostro amore e ci avvelena con l’insulto, distruggendo lentamente la nostra vita, tutto ciò si chiama fedeltà misericordiosa. È una cosa terribile. Esige una pazienza, una donazione, un amore imperturbabile e soprattutto una serena e dolce umiltà.

La misericordia diviene autentica solo quando si prolunga per il corso di una vita intera.

 

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