LA PARABOLA DEL PADRE CHE AMA

LA PARABOLA DEL PADRE CHE AMA

Amore misericordiosissimo del padre: lo vede, lo compassiona, gli corre incontro, gli si getta al collo, lo abbraccia, lo bacia, non lascia che termini il suo atto di dolore.

Misericordia estrema che va alla ricerca della pecorella perduta e della monetina smarrita. È un’esigenza talmente alta e travolgente che umanamente è irraggiungibile. Occorre allora aver pazienza con se stessi: cominciare sempre di nuovo, continuamente di nuovo.

PELLEGRINO DI STRADE INTERMINABILI
 
Ed allor sognai altre vite
migliaia di vite, pellegrino
di strade interminabili. Allora
m’adornai di fiori e di canti.
E feci di me una riviera,
ove le più dolci creature
si davan convegno. E tutti chiamai
a danza i desideri; e le stagioni
giovani e le notti candide accolsero
le mie confidenze. E, novello prodigo,
ho dato fondo alla mia eredità.
E voi e Dio eravate il mio ininterrotto
rimorso. Non un giorno Egli ha lasciato
d’inseguirmi. E la sera
eran pianti che lavavano i cieli
(D. M. Turoldo).

Racconta il sacerdote Henri Nouwen rimasto folgorato dell’incontro con il dipinto “Il figlio prodigo”:
 
Il dipinto di Rembrandt mi è rimasto molto vicino. Ne ho par­lato molte volte. Più parlavo del Figlio prodigo e più riuscivo a vederlo in qualche modo come il mio dipinto persona­le, il dipinto che conteneva non solo il cuore della sto­ria che Dio vuole raccontarmi, ma anche il cuore della storia che io voglio dire a Dio e al popolo di Dio. Lì c’è tutto il Vangelo. Lì c’è tutta la mia vita. Lì c’è la vita di tutti i miei amici. Il dipinto è diventato una finestra misteriosa attraverso la quale posso accedere al Regno di Dio. È come un enorme cancello che mi permette di trasferirmi dall’altro lato dell’esistenza e da lì guardare indietro allo strano assortimento di per­sone ed  eventi  che costituiscono la mia vita quotidiana.
Per molti anni ho cercato di carpire un barlume di Dio guardando attentamente ai molteplici aspetti del­l’esperienza umana: solitudine e amore, dolore e gioia, risentimento e gratitudine, guerra e pace. Ho cercato di capire gli alti e i bassi dell’animo umano, di discer­nervi una fame e una sete che solo un Dio il cui nome è Amore potrebbe soddisfare. Ho cercato di scoprire ciò che è duraturo al di là dell’effimero, ciò che è eter­no al di là del transitorio, l’amore perfetto al di là di tutte le paure inibitorie e la consolazione divina al di là della desolazione dell’angoscia e dell’estrema soffe­renza  umana. Ho cercato costantemente di puntare ol­tre la qualità mortale della nostra esistenza verso una presenza più grande, più profonda, più ampia e più bella di quanto possiamo immaginare, e di parlare di quella presenza come di una presenza che può essere già vi­sta, sentita e toccata  da coloro che sono disposti a cre­dere.
Poi sono stato condotto in un luogo interiore dove non ero stato prima. È il luogo dentro di me dove Dio ha scelto di dimorare. È il luogo in cui mi sento al sicuro nell’abbraccio di un Padre tutto amore che mi chiama per nome e mi dice: «Tu sei il mio figlio predi­letto, in te mi sono compiaciuto». E il luogo in cui posso assaporare la gioia e la pace che non sono di que­sto mondo.
Questo luogo era sempre esistito. Ero sempre stato consapevole che fosse fonte di grazia. Ma non ero sta­to capace di entrare in esso e di viverci veramente. Gesù dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Queste parole mi hanno sempre colpito profondamente. Io sono la casa di Dio.
Ma era sempre stato molto difficile sperimentare la verità di queste parole. Sì, Dio dimora nel mio essere più intimo, ma come posso aderire all’appello di Gesù: «Rimanete in me e io in voi»? L’invito è chiaro e inequivocabile. Dimorare dove Dio dimora, questa è la grande sfida spirituale. Ma mi sembrava un compito impossibile.
Con i miei pensieri, sentimenti, emozioni e passio­ni, ero costantemente lontano dal luogo dove Dio ave-va scelto di dimorare. Tornare a casa e stare dove Dio dimora, ascoltare la voce della verità e dell’amore, quello era veramente il viaggio che temevo di più perché sa­pevo che Dio è un amante geloso che vuole ogni parte di me, sempre. Quando sarei stato pronto ad accettare questo tipo di amore?
Dio stesso mi ha mostrato la via. Le crisi psicologi­che e fisiche mi hanno costretto a tornare a casa e a cercare Dio dove Dio può essere trovato – nel mio stesso santuario interio­re. Non posso dire di esservi arrivato; non sarà mai in questa vita, perché la via verso Dio si prolunga mol­to al di là del confine della morte. E un viaggio lungo e molto faticoso, ma è anche pieno di sorprese meravi­gliose poiché ci offre spesso un assaggio della meta ul­tima.
Quando ho visto il dipinto di Rembrandt per la pri­ma volta, la casa di Dio che è dentro di me non mi era così familiare come lo è ora. Nondimeno, la mia intensa risposta all’abbraccio del padre col figlio mi ha detto che ero alla ricerca disperata di quel luogo interiore dove anch’io potevo essere tenuto così al si­curo come il giovane uomo del dipinto. A quel tempo non prevedevo quanto ci sarebbe voluto per avvicinar­mi di qualche passo a quel luogo. Sono contento di non aver saputo in precedenza ciò che Dio stesse pro­gettando per me. Ma sono felice anche per il posto nuovo che è stato aperto in me attraverso tutto il do­lore interiore. Ora ho una nuova vocazione. E la voca­zione a parlare e scrivere da quel luogo ai molti luoghi della mia vita inquieta e di quella di altre persone. Mi devo inginocchiare davanti al Padre, mettere l’orecchio contro il suo petto e ascoltare, senza interruzione, il battito del cuore di Dio. Solo allora potrò dire con pre­cisione e molto dolcemente ciò che sento. Adesso so di dover  parlare dall’eternità al tempo, dalla gioia pe­renne alle realtà provvisorie della nostra breve esisten­za in questo mondo, dalla casa dell’amore alle case della paura, dalla dimora di Dio alle dimore degli esseri uma­ni. Sono ben consapevole dell’enormità di questa vo­cazione. Tuttavia sono sicuro che per me è l’unica stra­da.
La si potrebbe chiamare visione ‘profetica’: guar­dare le persone e questo mondo attraverso gli occhi di Dio.
È una possibilità realistica per un essere umano? O meglio ancora: è una vera opzione per me? La doman­da non è astratta. È una interrogazione sulla vocazio­ne. Sono chiamato a entrare nel santuario interiore del mio essere dove Dio ha scelto di dimorare. L’unica via a quel luogo è la preghiera, la preghiera incessante. Mol­te lotte e molto dolore possono aprire la strada, ma sono certo che solo la preghiera continua può consen­tirmi di entrare in essa.
Ed è questo viaggio dentro di noi, verso questo Santuario interiore che vogliamo cominciare: muovere i primi passi di un viaggio che dura tutta la vita. Entriamo nel silenzio di questa prima notte con il dipinto negli occhi, cercando dentro di noi di scoprire il segreto che ci abita.

Padre:  
– All’improvviso, dopo la prima ebrezza di libertà mi è crollato addosso tutto il peso della solitudine, di una vita vuota, il peso delle carrubbe “negate”.
– “Rientrando in me stesso” ho incontrato il tuo sguardo. Sulle ceneri della mia incredulità hai ravvivato una scintilla.
– A casa, Padre, si stava bene!
 
Padre:
– Sì, ho sentito rinascere nell’anima la speranza del perdono.
– E mentre ero ancora lontano, forte solo più del tuo abbraccio,
è nata la certezza che tu vieni a me sempre.
– Perché mi ami infinitamente.
– Perché sono tuo figlio!

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